La Danza Moderna
Questa sesta tappa ci porta in Occidente, verso la fine del XIX sec. In questo periodo cambiano notevolmente i modi di vivere e pensare dell’uomo nella società e questo influenza, ovviamente, tutti gli ambiti compresi quelli artistici. Nella danza, lo studio del corpo come soggetto centrale diventa sempre più importante; il corpo in relazione ad uno spazio anch’esso sempre più libero. Nasce così la Danza Moderna con cui si definiscono generalmente gli sviluppi di quest’arte che portarono ad un nuovo modo di concepire la danza di scena, in contrapposizione al balletto classico-accademico ritenuto troppo rigido e schematico e, sicuramente, non adatto a tutti.
Una ricerca, quindi, di danza libera che, spesso veniva praticata attraverso la provocante forma dell’assolo (oggi detto anche solo), eseguito spesso in spazi non teatrali, per marcare un forte contrasto con lo sfarzo dei grandi balletti. Infatti, le scenografie sono spesso ridotte ad uno sfondo monocolore o a pochi, semplici elementi od oggetti. La figura del ballerino e quella del coreografo spesso corrispondono e, in alcune produzioni, il coreografo-ballerino è anche scenografo, costumista e direttore delle luci.
E’ il periodo in cui, tra le cosiddette avanguardie artistiche, nasce l’espressionismo per sottolineare la propensione di un artista a privilegiare, anche esasperando, il lato emotivo della realtà piuttosto che quello percepibile oggettivamente. Qui anche in contrasto all’oggettività professata dall’impressionismo.
Nella danza moderna, quindi, il corpo esprime la libertà del gesto valorizzando quei movimenti che sono capaci di esprimere, in modo naturale, la personalità e i sentimenti del danzatore. Si sceglie il rapporto con la terra, si danza a piedi nudi, si è svincolati dal peso del corpo, lo si accetta non contrastando la gravità ma, anzi, remandoci a favore. Si cerca l’asimmetria, il disequilibrio, la vibrazione, lo slancio, l’articolazione apparentemente spontanea delle membra. Ci sono giri, sequenze ripetute, brusche interruzioni, sospensioni; il tutto senza alcuna compiacenza edonistica e senza nessun tipo di superficiale decorativismo.
Se nel balletto classico si preferiva la frontalità, nella danza moderna il pubblico, del danzatore, vede tutto perché egli può e deve danzare con tutto il corpo mostrandosi come una scultura a tuttotondo. Nell’Ottocento, quindi, la danza era “rappresentazione”, nel Novecento diventa “espressione”, un “tirare fuori da sé”, non una semplice finzione ma un’indagine sul rapporto interno/esterno.
Si volge lo sguardo al passato per compiere un salto in avanti, si rinvigorisce l’interesse per la mitologia greca e le culture antiche e lontane, dall’India al Giappone alla Cina.
In più, con la Modern Dance, saranno le donne ad essere le vere sacerdotesse: Loïe Fuller (nella foto), Isadora Duncan, Ruth St. Denis, Martha Graham, Doris Humphrey.
I movimenti della danza moderna tuttavia hanno anch’essi una “grammatica” precisa. La tecnica Graham, per esempio, non è affatto danza “libera” alla maniera di quella di Isadora Duncan, né un “linguaggio personale”, ma una vera e rigorosa tecnica di danza. Stesso discorso vale per le tecniche Cunningham, Horton, Limón e tante altre sviluppatesi successivamente. Confondere danza moderna e danza libera potrebbe essere, di conseguenza, un errore.
Allo stesso tempo, è grazie soprattutto a queste donne se oggi possiamo sperimentare movimenti vicinissimi al nostro ritmo individuale e alla nostra personalità. Dobbiamo a questi pionieri la possibilità di danzare al motto di libertà libertà libertà procedendo al suono di: “Danzate, danzate, danzate altrimenti siamo persi” (Pina Baush).
Ps. La storia della danza moderna può essere suddivisa in tre periodi:
• il periodo di rottura con il balletto classico e di ricerca, risalente alla fine del XIX secolo e inizi del XX;
• il periodo di definizione delle tecniche, tra gli anni trenta e gli anni quaranta;
• il periodo di innovazione, che va dal secondo dopoguerra ad oggi andando verso la Danza Contemporanea.
Fonti:
Continuamente Danza. L’infinito in corpo. Nuria Sala e Michela Bianchi.