Lucio Fontana
Lucio Fontana che nasce il 19 febbraio 1899 a Rosario di Santa Fé, in Argentina, da genitori di origine italiana. Il padre Luigi, scultore, è in Argentina da una decina d’anni e la madre, Lucia Bottino, è attrice di teatro. Dall’età scolare, Lucio viene mandato in Italia per gli studi ed affidato allo zio diCastiglione Olona, in provincia di Varese. Il suo percorso artistico segue le orme del padre (rientrato poi in Italia), e del grande maestro Adolfo Wildt ma da qui, subito, riesce a trovare una propria strada svicolandosi da quella che poteva essere una formazione tradizionale.
Durante la Seconda Guerra Mondiale ritorna in Argentina e, insieme ad un gruppo di allievi, scrive il Manifesto Bianco (1946), un documento che riprende la vocazione futurista all’apertura verso i mezzi tecnici che dovevano essere al passo con le incalzanti scoperte della scienza. Questo testo costituisce le fondamenta per la fondazione, al ritorno in Italia, del movimento che lui stesso definì Spazialismo in omaggio all’esplorazione dello spazio che, proprio allora, stava iniziando il suo corso.
Fontana, quindi, dalla scultura arriva alla pittura per poi fondere il tutto in un unico concetto che comincia già a vedersi con la serie dei “Buchi”: la superficie del quadro si riempie di crateri irregolari come cieli stellati. Lo sguardo dello spettatore finalmente va dentro e oltre il quadro. Lavora a questa serie per circa trent’anni, creando anche quadri ad olio dallo spessore talmente alto da conferire ai bordi dei crateri un tono vitale e barocco. Il fondo può essere di un solo colore ma anche ospitare pietre, lustrini, sfumature che movimentano un paesaggio astratto e lunare.
Ci sono poi i grandi ovali denominati “Fine di Dio”, la versione scultorea dei crateri nelle “Nature” fino ad arrivare alla famosissima serie dei “Tagli” in cui depura ulteriormente la forma portandola ad un’essenzialità minimale. Lucio Fontana, nella fattispecie, taglia la tela e mai a caso, disponendo un’unica ferita al centro o, più spesso, eseguendone molte in una serie ritmica di linee. Il fondo può essere bianco ma anche colorato e dai toni brillanti. E qui, qualsiasi limite tra pittura, scultura e decorazione è totalmente superato. La luce passa attraverso i tagli, crea naturali chiaroscuri e ci fa immaginare, pensare, sognare.
Le opere di Fontana (ricordiamo anche l’opera creata per lo scalone della Triennale di Milano del 1951: un grande neon che viene piegato fino a creare un fantastico arabesco di luce) sono come corpi nello spazio che appaiono, movimenti seminascosti che possiamo immaginare guardando dalla serratura. E’ un insegnamento per tutti i performers che devono guardare oltre, fare in modo che qualsiasi movimento, danza, attrezzo utilizzato, diventi un mondo. Un’essenzialità che porti lo spettatore diritto alla vastità del proprio animo. Specchiarsi nell’animo dell’altro per guardare più a fondo se stessi.
Fonti:
www.fondazioneluciofontana.it
Arti Visive – Gillo Dorfles e Angela Vettese