La paura di cadere.
La paura di cadere è molto diffusa perché rappresenta, secondo Lowen, la resa o la rinuncia ai propri schemi di controllo, cioé alla posizione difensiva. Abbandonando questa posizione, si evoca tutta l’ansia che in origine l’aveva provocata e sviluppata. Sempre per Alexander Lowen, quest’ansia dipende dalla tipologia di carattere che lui divide in: carattere schizoide, orale, masochista, psicopatico, rigido. Uno degli esercizi che faceva fare in Bioenergetica era quello di porre una coperta davanti al paziente che veniva invitato a posizionarsi in equilibrio su una gamba flettendo completamente il ginocchio caricato. L’altro piede doveva toccare leggermente il suolo per l’equilibrio, bisognava rilasciare il petto e respirare con facilità in modo da permettere l’elaborazione delle sensazioni. Le istruzioni erano semplici perché bisognava rimanere finché non si cadeva ma non coscientemente bensì involontariamente. Già la coperta era fonte di diverse visioni, alcuni vi vedevano un terreno roccioso contro cui cadendo si sarebbero schiantati. Altri ancora pensavano ad una massa d’acqua o alla faccia dei genitori per cui cadere equivaleva cedere o arrendersi alla madre o al padre.
C’era chi instaurava una vera e propria lotta perché cadere equivaleva letteralmente a fallire. Se non si riesce a cadere, però, non ci si può neanche rialzare o imparare a farlo traendo le giuste energie. Chi riusciva a cedere si sentiva più sollevato, con un peso in meno e il corpo risultava meno rigido.
L’ansia di cadere viene fatta risalire ad un periodo della storia evolutiva in cui i nostri avi, prima di avventurarsi nelle pianure in cerca di cibo, vivevano sugli alberi come alcune scimmie. Nel neonato umano, infatti, l’istinto di aggrapparsi e di tenersi attaccato con la mano è presente dalla nascita come residuo della storia filogenetica. Sospesi, alcuni neonati, riescono a sostenere il proprio peso appendendosi con le mani. Ma è solo una capacità rudimentale e i neonati hanno bisogno di essere tenuti per sentirsi sicuri tant’è che, nel 1945, Wilhelm Reich pubblicò uno studio sull’ansia di cadere in un bambino di tre settimane.
Alla fine della terza settimana c’era un’acuta ansia di cadere, che compariva quando veniva estratto dal bagno e appoggiato di schiena sul tavolo. Non fu immediatamente chiaro se il gesto di metterlo giù fosse troppo brusco o se fosse il raffreddamento della pelle a far precipitare l’ansia di cadere. Comunque il bambino cominciò violentemente a piangere, spinse indietro le braccia come per cercare appoggio, cercò di spingere in avanti la testa; aveva negli occhi un’ansia intensa ed era impossibile calmarlo. Fu necessario riprenderlo in braccio. Al tentativo successivo di metterlo giù l’ansia di cadere ricomparve con la stessa intensità. Solo quando venne preso in braccio si calmò.
In seguito a questo incidente Reich notò che il bambino teneva la spalla destra arretrata perché durante l’attacco di ansia, appunto, aveva tirato indietro le spalle come per cercare un appoggio. Questo atteggiamento era rimasto anche quando l’ansia era assente. Questo shock era chiamato dallo stesso Reich anorgonia; avviene una contrazione, il sangue e l’energia vengono ritirati dalla periferia del corpo e il soggetto perde il senso dell’equilibrio e sente che sta per cadere o cade.