Amare ed altre catastrofi.
In questa quarantena il proverbio “lontano dagli occhi lontano dal cuore” non è mai stato così calzante. Isolati dai nostri cari stiamo contattando maggiormente la nostra persona in tutti i sensi. Ma come si fa ad amare correttamente?
Mah!
Amare è amare un’idea e, allo stesso tempo, la realtà che essa rifletterà.
Litigi all’ultimo sangue, difetti che, all’improvviso, diventano insopportabili non bastano spesso a far terminare una storia d’amore.
Ti odio perché ti amo.
Si litiga e poi si fa l’amore per celebrare la resistenza e la resilienza di una coppia. Quando ci innamoriamo ci sentiamo più fragili e, spogliati delle nostre difese, ci espandiamo verso il mondo con luce nuova. Il nostro corpo e la nostra struttura psichica cambiano, c’è un subbuglio che ci allontana da abitudini più rigide ed egoiste. L’Amore dispone di noi e del nostro io che viene incrinato e aperto alle crisi, viene tolto dal centro della sua egoità.
Se il nostro spirito, però, è libero e non accetta né limitazioni né costrizioni la nostra anima, per contro, trova sicurezza nel corpo e nella familiarità. Innamorarsi è un alternarsi continuo tra queste due tensioni: attaccamento e libertà. Una danza in cui le braccia possono trovarsi lungo il corpo, fredde ed impassibili, incrociate per non far passare niente e nessuno oppure ampie e accoglienti, pronte a contenere l’altro, ad abbracciare i limiti di un altro corpo diverso dal nostro. L’eterno dilemma dell’esserci e del non esserci per avere una relazione che non sia fusione; per acchiappare il noi senza prescindere dal tu e dall’io.
Amore e Psiche ma anche Eros e Thanatos, non si può avere una cosa senza considerare anche l’altra.
Anodea Judith:
“[…] Per coloro che rispettano la separazione, il prendere le distanze, i fraintendimenti e gli estraneamenti come parte del fluire e crescere delle relazioni, la danza di Eros può rinnovarsi continuamente. […] Dobbiamo volere, non negare, il nostro bisogno per una certa quantità di separatezza, del nostro timore di rimanere incastrati e comprendere che lo stesso timore del nostro partner non riguarda noi, ma il bisogno di Thanatos di creare equilibrio nella relazione, di modo che Eros possa continuare la danza dell’amore e dell’attrazione”.
Umberto Galimberti:
“[…] Quel che si imputa al traditore è di essere diventato diverso e di muoversi non più in sintonia, ma da solo. Soltanto se si accetta il cambiamento dell’altro e lo si accoglie come una sfida a ridefinirsi e a ridefinire la relazione, il tradimento non è più percepito come tradimento. Ma ridefinirsi è difficile così come accettare il cambiamento”.
Ma amare gli altri significa soprattutto amare se stessi, trovare un equilibrio con l’altra persona equivale ad avere un buon equilibrio prima di tutto con noi stessi. Per raggiungere un’intimità dobbiamo trovarci in primis in intimo contatto con la nostra parte più interna, conoscere tutto quello che ci riguarda: necessità, paure, limiti, speranze.
Chakra.
Il Chakra dedicato al cuore è, ovviamente, il quarto: Anahata. Il centro del perdono ma anche il centro tra i chakra più bassi e terreni e quelli più alti e spirituali. Il suo nome sanscrito significa “non colpito”, che letteralmente sta ad indicare un suono prodotto da due elementi che non collidono tra di loro, e si riferisce all’incontro tra il plesso cardiaco e quello polmonare, dove due importanti funzioni vitali confluiscono senza intralciarsi. L’elemento che rappresenta questo chakra è l’aria, che unisce il cielo e la terra, ed il colore che gli viene associato è il verde, che rappresenta armonia e benessere.
Il Verde.
Anche il verde può essere considerato il centro di una tensione avendo in sè l’energia del giallo e la quiete del blu. E’ il colore della Natura simbolo di fertilità, crescita e rinnovamento legato ai cicli vegetali e stagionali. Infonde speranza, fiducia e pace.
Il verde significa forza, perseveranza, equilibrio, stabilità, solidità, costanza. Inoltre, rappresenta l’energia accumulata non esternata portando, sovente, ad un eccessivo autocontrollo e bisogno di dominare sia le persone che gli eventi. Di conseguenza, quindi, il verde è anche il colore della rabbia e della putrefazione, del veleno e dell’invidia.
Si dice che Charles Baudelaire vestisse sempre di nero e si tingesse i capelli di verde. Edvard Munch lo adorava perché rispecchiava i colori permanenti ed eterni della natura viva e accogliente; per lui il rosso rappresentava la polarità emotiva negativa (Yang) mentre il verde quella positiva (Yin).
Ne La teoria dei colori Goethe definisce il verde un colore riposante, da utilizzare all’interno della casa, sui muri, addirittura in camera da letto.
Napoleone ne andava pazzo, anche se forse fu proprio il “verde di Schweinfurt”, o “Paris Green” (con cui erano dipinte molte stanze della sua residenza dell’esilio, Longwood House) a causarne la morte a Sant’Elena. Furono due chimici tedeschi a Schweinfurt, nel 1814, a creare questo bellissimo pigmento verde smeraldo di cui si innamorarono immediatamente pittori, stilisti e tintori. Peccato che fosse realizzato con trucioli di rame dissolti nell’arsenico e verderame. Il nuovo miscuglio fu immediatamente commercializzato e adottato praticamente in tutti i rami dell’industria. Il Verde di Parigi brillò nelle carte da parato, nei vestiti delle donne alla moda ,come vernice nei giocattoli per bambini e perfino nell’industria dolciaria dove le bellissime foglie di zucchero verde appoggiate sulle torte glassate iniziarono a mietere vittime. La tossicità dell’arsenico era volutamente ignorata tanto che esistevano, già dal 1812, altre sostanze arsenicali di comune utilizzo che sembravano innocue. Nel 1820 l’intera Europa era colorata di verde: saponi, dolciumi, paralumi e abiti, prodotti farmaceutici, insetticidi, alimenti per l’agricoltura, carta stampata, ceramica e carta da parato. Pare che anche Paul Cézanne amasse e usasse molto questo colore, che fu denominato in un secondo momento “Verde pappagallo” per mettere a tacere le voci sulle sua tossicità; quando però si ebbero ulteriori prove del suo effetto letale fu bandito.
The End.
Se il quadro più vicino alla rappresentazione dell’amore in questo periodo è, senza ombra di dubbio, Gli Amanti di René Magritte posso affermare che l’Amore è nell’opera A letto di Henri de Toulouse-Lautrec. Un quadro che guarda oltre le apparenze, splendido nel suo equilibrio tra il bianco dei cuscini e delle lenzuola e il denso rosso della coperta e della carta da parati. Verde, giallo e grigio, tutto perfetto. La calma dei volti delle protagoniste non ha eguali, c’è l’amore profondo e c’è l’accoglienza. Nella stanza vige, dolce e perentorio, un unico diktat: l’essere se stessi. La stanza dove tutti vorremmo dormire e dove chiunque potrebbe vivere una carezzevole quarantena.