Il Quinto Chakra e la Vergogna.
Il quinto chakra Vishudda (puro) è collegato all’energia del suono e ha come pensiero chiave: “Io comunico”, è il centro della comunicazione e dell’espressione creativa.
Il suo funzionamento eccessivo o insufficiente è causa di affezioni alle vie respiratorie, disturbi alla tiroide, rigidità cervicale, difficoltà di espressione verbale, autoritarismo e timidezza.
Vishudda chakra è situato nella zona della gola, gli organi corrispondenti sono: la trachea, la gola, le corde vocali, il naso, le orecchie, le ghiandole endocrine della tiroide e delle partiroidi.
Il suo elemento è l’etere, il senso corrispondente l’udito e il suo colore è l’azzurro. Le caratteristiche principali sono legate alla comunicazione, l’espressione creativa, la diplomazia e la sincerità.
Da questo chakra in poi abbandoniamo la patria delle azioni e dei bisogni concreti che, si spera, ci abbiano reso pieni nella nostra forma ormai ben delineata. Solo allora, possiamo ben rivolgerci verso l’esterno e risvegliare la nostra identità creativa il cui obiettivo è l’autoespressione. Soltanto dopo aver definito la nostra forma potremmo, quindi, definire quella del mondo. Il quinto chakra (con il quale ci avviciniamo al pensiero più astratto) fiorisce tra i sette e i dodici anni – il periodo delle Operazioni Concrete come lo definisce Piaget – in cui vi è un ragionamento simbolico più sofisticato. La famiglia viene sostituita da altre forme di aggregazione che dovrebbero essere al meglio delle loro prestazioni (esempio la scuola con infiniti strumenti di azione e di ragionamento) offrendo maggiori opportunità di espressione creativa. Qui, se il bambino si trova a suo agio, si sentirà sicuro di esprimere la sua verità e di sperimentare la sua immaginazione.
Questa base dovremmo poi trovarla, anche da adulti, in tutti gli ambienti per sviluppare al meglio possibilità e potenzialità. Se partiamo dal presupposto che tutto dentro e fuori di noi ha un ritmo e che da questo ritmo dobbiamo partire e armonizzarci, entrare in sintonia, potremmo comprendere l’importanza di essere, appunto, in sintonia con noi stessi, gli altri e il mondo che ci circonda. Cosa complicatissima che non esclude stonature e cambi improvvisi di musicalità. Ma è solo in questo eterno scorrere che possiamo trovare la giusta chiave di un’ottima comunicazione ed autoespressione.
Emozioni.
La maggior parte delle teorie odierne definiscono le emozioni, o meglio le esperienze emotive, come un processo (e non come uno stato) multicomponenziale, cioè articolato in più componenti e con un decorso temporale che evolve.
E’ fondamentale sottolineare che parte dell’esperienza emotiva è anche un antecedente emotigeno (o evento emotigeno) che la innesca: gli antecendenti emotigeni possono essere di varia natura, compresi gli eventi interni, come ad esempio un ricordo, un pensiero o un’immagine mentale. In termini di decorso temporale è importante sottolineare che le emozioni non sono stati, bensì processi in continua evoluzione. Il decorso temporale delle emozioni può essere estremamente differente: in alcuni casi hanno un chiaro inizio e una chiara fine, con una intensità stabile nell’arco temporale; in altri casi è più difficile definire in modo preciso il decorso temporale poiché presentano un pattern maggiormente discontinuo e fluttuante anche in termini di intensità.
Le emozioni primarie sono innate e universali, cioè sono riscontrabili in qualsiasi popolazione, le emozioni secondarie, invece, devono essere apprese e si sviluppano con la crescita dell’individuo e con l’interazione sociale.
Vergogna.
Quest’emozione secondaria entra in gioco quando l’individuo si espone all’osservazione degli altri, siano essi realmente presenti o immaginati. E’ definita l’emozione dell’autoconsapevolezza e nasce in seguito all’auto-valutazione di un fallimento personale rispetto a uno standard desiderato in accordo a regole, scopi o modelli di comportamento condiviso.
Nel corso del secondo anno di vita del bambino compaiono le cosiddette emozioni sociali, definite anche autocoscienti e valutative (Berti e Bombi, 2005). La vergogna compare generalmente dopo il secondo anno di vita, più tardivamente rispetto alle emozioni cosiddette di base, poiché è necessario lo sviluppo del sé personale dal momento che questo stato emozionale implica necessariamente la percezione di un giudizio dell’altro, perciò il bambino deve essere arrivato ad una maturazione tale per cui possa essere in grado di effettuare una scissione tra se stesso e l’altro, per questo motivo è definita come un’emozione sociale.
La vergogna può essere devastante per una sana espressione di se stessi.
Un’adatta rappresentazione è la Cacciata dei progenitori dall’Eden di Masaccio nella Cappella Brancacci della chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze. Opera del quattrocento ma attualissima, figure non ieratiche né tantomeno idealizzate ma vive nel dolore, plastiche, corpose, pesanti, addirittura madide. Eva si copre disperata e piena di vergogna mentre Adamo ha le mani in viso con estremo senso di colpa. Sono massicci, sgraziati e del tutto realistici nella loro pesante esistenza corporea. Pesante come è pesante la vergogna, il giudizio per eccellenza della condizione umana prima e dopo il peccato originale.
Della vergogna ne parlava anche Sartre ne L’essere e il nulla definendola come apprensione vergognosa di qualche cosa in cui questo qualche cosa sono io. Io ho vergogna di ciò che sono. La vergogna realizza quindi una relazione intima con me stesso: con la vergogna scopro un aspetto del mio essere. Faccio un gesto maldestro o volgare: quel gesto aderisce a me, non lo giudico né lo biasimo, lo vivo semplicemente, lo realizzo al modo del per-sé. Ma ecco che improvvisamente alzo gli occhi: qualcuno era là e mi ha visto. Subito realizzo la volgarità del mio gesto e ho vergogna – ho vergogna di me stesso quale appaio agli altri. Con questa apparizione porto un giudizio su me stesso com su un oggetto, perché come oggetto mi manifesto ad altri. Riconoscendomi come gli altri mi vedono, la vergogna mi entra con un brivido che mi percorre dalla testa ai piedi. La relazione con gli altri mi fa scoprire la stessa volgarità che altrimenti non ri-conoscerei. In effetti, non si è volgari da soli così la vergogna è vergogna di sé di fronte agli altri; queste due strutture sono inseparabili. Ma, nello stesso tempo, ho bisogno di altri per cogliere a pieno tutte le strutture del mio essere.
La vergogna, pertanto, è uno scotto da pagare se vogliamo interagire e, di contro, può fungere anche come regolatore di buona distanza nella relazione pure in senso fisico; infatti, un certo grado di imbarazzo e vergogna regolano lo spazio privato e fungono da segnale quando l’altro è avvertito come intruso.
Tipologie.
Si possono distinguere molti tipi di vergogna:
– del fare, in cui l’oggetto è l’agito e per questo è molto meno invasiva;
– dell’essere, molto più profonda e dolorosa, riguarda l’essenza della persona, la sua identità;
– da svelamento o smascheramento, in cui la persona si trova ad affrontare una situazione contro la sua volontà;
– per le lodi, che si assume non siano meritate;
– ricorsiva, legata al circolo vizioso della vergogna stessa, quando ci si vergogna di vergognarsi;
– transitiva, quando per colpa del proprio comportamento si genera vergogna in un’altra persona;
– transpersonale, quando ci si vergogna della propria famiglia, istituzione, nazione, o nel gruppo nel quale ci si identifica;
– contagiosa, quando ci si vergogna di fronte all’improvviso vergognarsi di qualcuno.
Disequilibrio di Vishudda.
Come già accennato, il mal funzionamento del quinto chakra può portare a problemi alle vie respiratorie, all’udito, al collo e alla gola. Sul piano psicologico l’individuo manifesta prolissità, incapacità di sintesi e di ascolto del prossimo, estrema velocità di parola, impulsività, impazienza e iperattività: lo caratterizzano rabbia, orgoglio e senso di superiorità, dogmatismo, autoritarismo e fanatismo.
Se invece c’è un funzionamento insufficiente, l’individuo non riuscirà a riflettere sulle proprie emozioni, avrà paura di parlare, difficoltà a esprimersi e a tirare fuori la voce, manifesterà timidezza e sentirà di non avere il diritto di dire e di ascoltare la verità, negando il diritto di esistere alla propria interiorità. La tendenza è a sfuggire il contatto sociale, a chiudersi nel mondo mentale, a non fidarsi di nessuno e a essere a sua volta bugiardo con se stesso e con gli altri. Non avendo abbastanza autostima per credere alle proprie intuizioni, lo caratterizzano indifferenza, pigrizia, introversione e opposizione al cambiamento.
Da fare.
Come sempre, shakeriamo il corpo prima dell’uso, muoviamo e agitiamo morbidamente il tutto. Non serriamo sempre la bocca ma proviamo ad essere pronti a parlare, a ragionare per dire la nostra senza rimpianto. Parliamo, ma non a vanvera o, se occorre, anche a vanvera. Ascoltiamo la nostra voce ed amiamola pure se non è perfetta e sensuale. Cantiamo, cantileniamo, intoniamo. Raccontiamo storie. Teniamo un diario. Impariamo a praticare il silenzio quando occorre e a comunicare quando serve. Liberiamo la nostra parte creativa in qualunque ambito, anche il più assurdo. Scriviamo lettere. Dialoghiamo a voce alta.
La nostra voce è necessaria per noi e per chi ci vuole bene.
Trattiamo, quindi, bene la nostra mandibola preparando la nostra bocca allenando al meglio i suoi muscoli e le sue articolazioni. Apriamo e chiudiamo la bocca, portiamo la mandibola in tutte le direzioni, massaggiamo al meglio il tratto cervicale.
Insomma, cerchiamo di volerci bene il più possibile anche se, a volte, è complicatissimo.
Se tutto questo non dovesse bastare, assicuriamo il nostro benessere fisico e mentale a bravi dottori: tutto il possibile per esprimersi ed essere al meglio se stessi.
L’ideale, in questo periodo di comunicazioni frammentate e virtuali, è quello di ritornare a scene di comunioni senza preoccupazioni di sorta. Avvicinarsi per ascoltare meglio, rallegrarsi di una battuta bisbigliata all’orecchio, avere una mano sulla spalla, abbracciarsi. Auguro a tutti una Colazione dei canottieri, splendido dipinto di Renoir (‘800) in cui amici e amiche, quasi come in un’istantanea fotografica, non sono in posa e, inconsapevoli dell’artista che li osserva, vivono la loro giornata tra chiacchiere e profonda leggerezza. Il tutto nella splendida luce del pomeriggio perfettamente filtrata tra le fronde degli alberi.
P.S.
Vishudda è collegato al suono radicale HAM e al suono vocalico Iiii.
A questo proposito si potrebbe aggiungere anche il mantra del respiro So-Ham.
Espiriamo profondamente pensando al suono Ham ed inspiriamo consapevolmente pensando al suono So. Osserviamo come, così facendo, le tensioni diminuiscono e il respiro diventa spontaneamente più profondo e consapevole. E’ importante mettersi all’ascolto del respiro e ripetere il suo suono fino a che non ci diventa familiare. Il mantra So-Ham, come tutti i mantra, ringiovanisce il corpo, la mente e lo spirito; è un mantra di potere e significa io sono, io sono lui, per dire che siamo in unione con la nostra coscienza suprema.